giovedì 9 agosto 2012

la solitudine dello sportivo

La solitudine dello sconfitto:
il caso di Schwazer svela
il rovescio della medaglie

Il suo motto era
«La vittoria o niente»
Il niente l'ha rovinato

GIANNI RIOTTA
londra
Che si prova a tagliare il traguardo per primi alle Olimpiadi e vincere l’oro? Sollievo. Avevo sputato sangue per 13 anni allenandomi e ho pensato, grazie a Dio ho vinto e adesso, se non ne ho voglia, non devo più rifarlo». La confessione, anonima, di un atleta americano campione olimpico a Pechino spiega meglio di tutto stress e solitudine degli sportivi, quella che lo scrittore Peter Handke chiamava «La paura del portiere prima del calcio di rigore»: le radici segrete del caso Alex Schwazer, la gloria della vittoria, l’angoscia di perdere, il doping, la confessione in diretta.

Quando, ai campionati mondiali, Schwazer decide di ritirarsi ed è ancora nel gruppetto di testa, il suo tecnico di allora, Sandro Damilano, lo affronta a brutto muso «Ma perché, andavi bene!». «Io, o vinco o niente» ribatte il marciatore. Presto abbandonerà Saluzzo, il coach, le strade di cui ha «nausea», per le telefonate al controverso dottor Ferrari, la gita in Turchia (da solo?) a comprare Epo, la bugia alla fidanzata campionessa, Carolina Kostner, «Le fiale in frigo? Sono vitamine».

«O vittoria o niente», vediamo ai telegiornali la gloria di chi vince, non vediamo il «niente» di chi perde. Schwazer ha avuto il «niente» che cercava con l’Italia divisa, su twitter e gli altri social network, due terzi lo attaccano «Pena? Mi fanno pena i disoccupati, non chi spreca talento e fortuna», un terzo lo difende «Lasciato solo, almeno ha confessato». Comunque la pensiate la Polvere e la Gloria degli umani destini sono in mostra ai Giochi Olimpici come in rare occasioni della vita, e questo ne spiega forse davvero il fascino, oltre sport, business, tifo, sponsor.
Alex Schwazer frequentava lo psicologo motivatore della Carolina, specialista che sprona gli sportivi al successo. Un amico suggerisce ad Alex di cambiar medico «Tu sei già super determinato, hai bisogno semmai di normalità, capire che c’è vita anche senza podio. Vai da uno psicoanalista, cerca equilibrio non tensione». Al bivio assurdo «Vittoria o Niente» Schwazer s’è perso, prima tra i ghiacci del centro di allenamenti a Oberstdorf, poi nelle farmacie di Antalya.

Di Alex ora tutti son pronti a parlare, pochissimi accettano di esporsi, il Circo Olimpico è sempre in tournée, si teme spesso per l’ingaggio. Uno degli atleti italiani più intelligenti dice «Guardi online il libro “The secret Olympian”, di un anonimo inglese reduce dalle Olimpiadi di Atene. Dice quel che noi non possiamo dire: peccato che Alex non l’abbia letto in tempo, forse avrebbe capito». Il testo, pubblicato da Bloomsbury, circola soprattutto su internet e il suo successo ha persuaso l’austero quotidiano della City di Londra, Financial Times, ad affidare i commenti all’Anonimo Atleta: «La grande maggioranza della gente sogna di competere alle Olimpiadi, senza sapere cosa significa davvero. La verità è la solitudine… I leader politici con la moglie sotto braccio, la folla degli atleti con i loro corpi bizzarri, la tensione dopo la gara, il sesso, spesso solo a parole, l’alcol, le feste…».

La solitudine di Alex è testimoniata in questa confessione anonima «Arrivi alle Olimpiadi, qualunque sia il tuo livello, e all’inizio della gara ti dici Se faccio bene cambio la mia vita. E se fai male?». L’effetto paura paralizza. Se non si reagisce, arriva il doping «I dopati sono ladri che ti entrano in casa e rubano medaglie e coppe…». Ma il confine tra doping e farmaci è più aperto del Sinai dice Anonimo: «Io non ho mai assunto doping ma ho bevuto frullati di proteine a litri, mi sono ingozzato di vitamine, analgesici e antinfiammatori legali, prima quando ero infortunato o avevo dolori, poi per abitudine».

In questo clima Alex Schwazer, lasciati Saluzzo e l’allenatore Damilano, cade. È un carabiniere, restituirà oggi pistola d’ordinanza e tesserino per il reato commesso, un atleta della Fidal, una star del Coni. La sua famiglia è lì, ma nessuno vede che la sua voglia di «Vincere» è scaduta nel «Niente». Tutti prendono per buona la sua parola, le fiale in frigo, tra uova e yogurt magro sono Vitamina C non Epo.

A Casa Italia passa Novella Calligaris, un argento a Monaco 1972 nei 400 stile libero e un bronzo negli 800, fino ai 500 coraggiosamente in testa, poi superata dall’americana Rothhammer e dall’australiana Gould: «Le povere ragazze tedesche dell’Est le dopavano senza nemmeno dirglielo, faceva tutto lo Stato. Non ho rancore per loro, sono vittime non colpevoli. Una ha avuto un figlio deforme per colpa del doping, altri tempi…».

Al St Mary College di Londra Damilano finisce di preparare i suoi atleti cinesi per la marcia dei 50 km, dopo l’oro e il bronzo dei 20 km. Ride «Se vinciamo di nuovo daranno dei dopati anche a noi…» ma non ha riso quando suo figlio, via web, gli ha fatto seguire la confessione pubblica del suo ex Schwazer. Che ha parlato del controverso dottor Ferrari, cercato per «avere il meglio» e ha trovato invece il niente. Si raccomanda ancora Damilano «non pestate la mano voi giornalisti o Alex non tiene…», si rammarica «ma perché nessuno mi ha telefonato, mai, perché?», poi spegne il computer e porta la squadra cinese all’allenamento. Persuaso che tra «Vittoria» e «Niente» ci stia tutta la nostra vita.

1 commento:

  1. Incollo risposta di Michele Ferrari su blog CYCLING PRO Articolo interessante , anche se tengo a precisare che gli incontri con Schwazer non avvenivano “di nascosto” : ho testato Alex 8-10 volte (circa una volta ogni 3-4 settimane) a Ferrara, sull’ argine del Po, sotto lo sguardo dei molti ciclisti-podisti che lo frequentano.
    Impossibile non riconoscere un umano che marcia a 16 km/h…
    I test servivano ad aggiornare le intensità di allenamento : ogni settimana inviavo una mail per il programma da svolgere , ogni settimana lui mi comunicava quanto effettivamente svolto e le sue sensazioni.

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